mercoledì 6 febbraio 2013

E' STATO IL FIGLIO - il cine-teatro

Siamo a Palermo, anni 70. La famiglia Ciraulo arranca per sopravvivere. Il capofamiglia Nicola (Servillo) si arrabatta al cantiere navale per mantenere tutta la sua famiglia: i suoi anziani genitori, la moglie e i due figli. Un giorno, la figlia più piccola, Serenella, viene uccisa per errore, durante un regolamento di conti tra mafiosi. La famiglia è distrutta, ma viene a sapere che esiste una legge grazie alla quale le famiglie che hanno subito delle perdite a causa della mafia, possono richiedere un risarcimento. Questa sarà la scintilla che innescherà una miccia pericolosissima. I Ciraulo cominceranno gli incartamenti per chiedere il risarcimento e, con la PROMESSA di una cifra astronomica, inizianoa spendere, indebitandosi perfino con un usuraio. E quando finalmente il tanto agognato denaro arriva, Nicola decide di spenderlo per acquistare non una casa, non una cucina, non dei loculi al cimitero o una qualsiasi altra cosa che migliori la situazione della famiglia, che vive nel degrado, ma bensì per acquistare una Mercedes. L'auto che diventerà il simbolo della loro rivincita, ma anche della loro stupidità e, infine, della loro rovina.
Quest'opera raccoglie in sé molti aspetti insoliti e positivi, che la rendono piacevole, godibile e che la impreziosiscono agli occhi dello spettatore.
Il dialetto siciliano innanzitutto, con tutte le sue sfumature e modi di dire. I primi minuti servono per ambientarsi, almeno per noi che non siamo pratici di siciliano, grazie anche all'aiuto di qualche sottotitolo!
La carica drammatica ed espressiva degli attori, Servillo e la Quattocchi spiccano tra gli altri. Sono figure che hanno del grottesco, con questi visi scuri e dai tratti accentuati, ma che rientrano perfettamente nello stile del film.
Il ritmo narrativo vivace e la fotografia audace. Da notare la scelta del silenzio o del rumore di copertura nelle scene di maggiore tensione, come quando muore Serenella o quando discutono i dettagli del prestito con lo strozzino. E' uno scenario quasi surreale, di isolamento, di abbandono.
E' un continuo scendere verso la rovina. La famiglia vorrebbe uscire dalla situazione infame in cui vive, vorrebbe salire ad un livello più alto e migliorare la propria vita, ma come ne I Malavoglia, è intrappolata nella sua realtà. Più si sforza di riscattarsi, più precipiterà verso il basso.
Questo è il cinema italiano che ci piace vedere, un cinema che sa dare qualcosa di qualità, di originalmente rivisto, di verace, con lo spirito teatrale che solo il Bel Paese ha. Dove non si deve avere paura di esagerare con l'espressività perché qui è lecita.

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